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Il metodo del Debate: quando il dibattito entra nelle aule virtuali

La disputatio medievale si rinnova ed entra nelle scuole. Comunicare in maniera efficace è un’arte che si può imparare quasi fosse una materia scolastica. Ecco come nell'intervista alla prof. Elena Caselli

Tra le missioni dei formatori rientra quello di aiutare gli studenti a sviluppare un pensiero critico. Come riuscirci in un’aula scolastica? Tramite il cosiddetto Debate, conosciuto anche come Dibattito argomentativoÈ un metodo che esula dall’improvvisazione poiché prevede per le due parti in contraddittorio una preparazione accurata. A spuntarla, con un bel voto sul registro, sarà chi avrà argomentato al meglio la propria opinione.

Lo ha attuato con i suoi studenti la professoressa Elena Caselli e a noi di Idee per la scuola ha raccontato com’è andata in questa intervista.

Dall’arrivo della pandemia a oggi com’è cambiato il tuo modo di insegnare?

“Da quando siamo entrati in DaD a febbraio 2020 ho percepito la differenza tra la scuola del prima e del dopo. Da un giorno all’altro abbiamo dovuto ‘fare scuola’ ed ‘essere scuola’ senza il “contenitore” scuola. Non esisteva più lo spazio fisico della classe, del cortile, dei corridoi in cui incontrare i ragazzi. Ho percepito fin dal subito un pericolo: che la scuola si riducesse ai quarantacinque minuti di lezione in cui l’insegnante trasmette contenuti. Così ho cercato di far sì che quelle lezioni potessero recuperare anche quella dimensione di socialità e dialogo educativo che rischiava di sparire. Cercavo di iniziare la lezione dialogando con gli studenti sulle serie tv che stavano guardando, mi facevo raccontare le ricette che stavano sperimentando in famiglia, chiedevo loro come trascorressero i pomeriggi”.

Hai messo in atto delle nuove metodologie didattiche?

“Dal momento che la lezione frontale rischiava di essere più faticosa per gli studenti, ho cercato di inventarmi attività in cui potessimo arrivare a un obiettivo insieme. L’ho fatto tramite la classe capovolta, i lavori in gruppi, la realizzazione di video e il cosiddetto Debate.

Interessante... e in cosa consiste?

“È una metodologia che permette di affrontare il tema argomentativo. Ho proposto ai miei studenti un dibattito sull’utilità o inutilità del latino nel percorso liceale, sull’importanza dei Promessi Sposi nei programmi scolastici e sull’innocenza o colpevolezza della Monaca di Monza. Li ho suddivisi in gruppi di lavoro e ho assegnato a ognuno una tesi da sostenere. Ciascun gruppo si è documentato analizzando le fonti e ha costruito la propria argomentazione. Alla fine i gruppi che sostenevano tesi opposte si sono confrontati in un vero e proprio dibattito“.

Confrontarsi in un dibattito ha comportato un cambiamento significativo, sia per me che per gli studenti.

Tipo un talk show…

“Con una differenza sostanziale. Per I Promessi Sposi, per esempio, ho assegnato a ogni gruppo un personaggio coinvolto nella vicenda degli assalti ai forni a Milano (Antonio Ferrer, il Capitano di giustizia, Renzo…). I ragazzi hanno così descritto i fatti di Milano dal punto di vista di quel personaggio, quasi interpretandolo. Si sono divertiti tantissimo. E anche io”.

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Che impatto ha avuto questo nuovo modo di fare scuola sugli studenti?

“Molto forte. Quanto più gli studenti si rendono partecipi e attivi nel loro processo di conoscenza, tanto più quella conoscenza diventa significativa e dura nel tempo”.

Quali reazioni ci sono state da parte dei genitori degli studenti?

“C’è stata maggiore partecipazione da parte loro e ho sperimentato il reciproco appoggio tra insegnanti e genitori. In questo tempo stravolto e difficile per tutti, è stata fondamentale l’alleanza tra noi e loro. Abbiamo rimesso al centro il bene del ragazzo, oltre al voto numerico”.

Stai ancora portando avanti questo nuovo approccio formativo?

“Sto cercando di portare avanti tutto ciò che ho sperimentato in DaD. Insegnando da poco, prima sentivo l’esigenza di organizzare ogni minuto della lezione, di avere sempre il controllo sulla lezione. Ora invece ho sperimentato l’importanza di lasciare spazi non programmati durante la lezione, da dedicare al dialogo”.

La cosa più bella che ti hanno detto gli studenti?

“Prof., ma domani ci vediamo! Sono troppo felice”. Può apparire banale, ma per me è stato un vero colpo al cuore. Ho sempre creduto nella scuola e l’ho amata fin da bambina, grazie agli incontri che mi hanno fatto crescere. Questo messaggio mi ha ricordato la gioia dell’incontro in un luogo che ha a cuore la tua crescita”.

C’è qualcosa che vorresti aggiungere sull’impatto che sta avendo quest’esperienza su di te?

Non si può fare scuola senza studenti. E non intendo la presenza fisica dello studente, il suo stare seduto dietro al banco o alla sua scrivania. Intendo una presenza di spirito, d’anima. Il tempo della DaD mi ha insegnato che devo prima capire chi c’è dietro quell’immagine o fotografia, capire i suoi bisogni, desideri, paure, cercare di conoscerlo. A volte basta solo uno sguardo, basta soltanto guardarli negli occhi quando facciamo l’appello. Solo così si può instaurare un dialogo educativo e formativo”.

Di Grazia Ciavarella