marco de rossi weschool

La scuola del futuro non ha paura di cambiare

Chiunque abbia avuto a che fare con la scuola nell'ultimo anno conosce WeSchool. Non tutti forse sanno però chi c’è dietro la piattaforma italiana leader della scuola digitale per numero di docenti e studenti raggiunti. Cerchiamo di scoprilo insieme a Marco De Rossi, 30 anni, Ceo di WeSchool.

“Equità, merito e ascensore sociale sono sinonimo di scuola d’eccellenza per tutti, innovazione pedagogica e didattica inclusiva. Io la vedo così ed è per questo che ho deciso di dedicare la mia energia di imprenditore, prima con Oilproject e ora con WeSchool, a questa battaglia, per me, campale”.

Queste parole riassumono tutto il senso del lavoro e della passione di Marco De Rossi.
La carriera di Marco inizia presto, quando nel 2004 a 14 anni, sui banchi di scuola, fonda Oilproject, una piattaforma di videolezioni online nata con lo scopo di rendere fruibili agli studenti contenuti e lezioni di alta qualità.
Nel 2016 invece è il turno di WeSchool, che a oggi accoglie nelle sue aule virtuali 2 milioni di studenti e il 17% dei docenti italiani della scuola secondaria.

Perché la scuola deve cambiare: l’eterna lotta tra vecchia scuola e tecnologia

Noi di Idee per la scuola abbiamo chiesto a Marco se questo anno così complicato, anche dal punto di vista didattico, sia servito in qualche modo per attivare un cambiamento positivo all’interno della scuola.

“Il problema alla base di tutto è che ci siamo abituati, come cittadinanza, comunità ed elettori, all’idea che la scuola, fondamentalmente, non cambi mai. In un mondo che negli ultimi 40 anni è cambiato radicalmente quasi in tutto, ci siamo assuefatti all’idea che invece la scuola sia così: duri un tot di anni, sia divisa in cicli scolastici, con quelle materie, che si svolga la mattina, in quelle stanze, in quel modo.
Diamo per scontato che debba rimanere così, senza che questo sia il risultato di un ragionamento che analizzi dei dati e tragga delle conclusioni basate su ragionamenti quali-quantitativi, in primis su quali siano le metodologie più efficaci“.

Marco chiarisce il concetto con uno dei tanti esempi pratici che seguiranno nell’intervista: “Avete mai sentito dei politici litigare e prendere o perdere voti perché proponevano quel modello di scuola, citando quei dati, contro quell’altro modello? Io no. Avete mai sentito famiglie o docenti strapparsi i capelli proponendo quel o quell’altro modello di didattica, magari citando dati, benchmark ed esperienze in altri paesi? Io no”, spiega Marco che prosegue: “Tutto si esaurisce in tifoserie: la buona vecchia scuola contro la tecnologia, come se fosse quest’ultima a fare la differenza.
Mentre il mondo cambia velocemente la scuola invece cambia poco e secondo me oggi in Italia questo crea grande disuguaglianza. Perché alla fine chi è fortunato, benestante o ha famiglie che forniscono un certo tipo di stimoli, in qualche modo si salva. Gli altri no”.

Reagire all’emergenza: l’esperienza di WeSchool

Nonostante i numeri della piattaforma fossero già alti, con l’emergenza sanitaria, la chiusura delle scuole e l’inizio della DaD, WeSchool è diventato uno degli spazi virtuali più importanti per migliaia di alunni e professori in tutta Italia.
Come ha dunque reagito a quest’onda d’urto?

“Sono stati dei mesi molto difficili psico-fisicamente, ma ricchi di soddisfazioni. Lavoravamo 16 o 18 ore al giorno anche il weekend. Ci siamo ritrovati a gestire una delle più importanti infrastrutture del paese. Quando hai 1.1 milioni di persone che ti utilizzano tutti i giorni per fruire del servizio scolastico, 2-3 minuti di disservizio possono causare 4-5 ore di lavoro anche solo per rispondere ai ticket tecnici. Ai tempi eravamo in sole 9 persone a gestire tutto questo.
Anche solo il dipartimento legale, che allora non esisteva, avrebbe avuto bisogno di 10-15 persone, per gestire le decine di raccomandate che ricevevamo ogni giorno dalle scuole, Procure della Repubblica e Polizia di Stato per le intrusioni e scherzi dei famosi zoombombing“.

Marco prosegue raccontandoci le difficoltà, anche economiche, affrontate in questo anno. “Gli importanti costi sono stati coperti da noi, perché il Ministero non ha finanziato in nessun modo la nostra attività. A differenza dei libri di testo, della connettività, degli edifici, dei dispositivi sanitari e ovviamente degli stipendi dei docenti, di cui lo Stato o le famiglie hanno coperto i costi, le piattaforme, vere e proprie infrastrutture che gestiscono i dati di milioni di minorenni, non sono state sovvenzionate in nessun modo dallo Stato”.

Tanto lavoro ma anche tante soddisfazioni come precisa il Ceo di WeSchool: “Se fai digitale, avere più di 1 milione di daily active users è, utilizzando un eufemismo, un’emozione indescrivibile, anche avere il Ministero dell’istruzione che suggerisce la tua piattaforma, unica italiana, insieme a quelle di Microsoft e Google, è stata una soddisfazione. Sono stati mesi epici di cui mi ricorderò per tutta la vita. Ma the best is yet to come. La vivo come un punto di partenza, non di arrivo. Ora il nostro team è di 30 persone e abbiamo molti cantieri aperti”.

Cosa rende WeSchool diversa: la partecipazione

Le piattaforme e le tecnologie utilizzate durante la DaD ormai sono tante e diversificate, abbiamo cercato di capire con Marco le peculiarità del suo progetto.

“Finora abbiamo visto una didattica digitale fatta con il format e-learning, piuttosto noiosa. In pratica dei corsi con una serie di video, testi ed esercizi fruiti singolarmente, senza interagire con gli altri partecipanti o con le live, in pratica il vecchio metodo frontale che si faceva in classe riportato online. Noi sosteniamo un modello completamente diverso, in cui l’aula fisica è affiancata da una nuova dimensione digitale partecipativa. Per esempio: stai guardando un video e devi rispondere a una domanda? Vedrai anche le risposte dei compagni di classe che stanno guardando lo stesso video e interagirai con loro. Insomma, disegniamo servizi digitali che hanno sempre al centro l’interazione, la partecipazione e la collaborazione con gli altri utenti”.

Se tutto questo vi ricorda la classe capovolta, non siete lontani dal vero, ma si va oltre tutto questo: “Così aiutiamo gli studenti a sviluppare le soft skill e non solo le conoscenze sul tema specifico della lezione: project-based learning, debate, teach to learn e classe capovolta“.

La scuola del futuro: partecipazione, persone, tecnologia

Marco ha diviso il suo approccio nei confronti della scuola in tre punti sostanziali. Eccoli:

  1. quello che fa la differenza sono le metodologie didattiche, non la tecnologia. Questo vuol dire nel concreto che non deve più esserci l’antitesi presenza contro DaD o tecnologia contro non tecnologia.
    Dovremo parlare di didattica frontale rispetto alla didattica partecipativa. Entrambe si possono fare sia in presenza, sia a distanza. Si può fare un frontale meraviglioso online, così come un partecipativo meraviglioso in presenza senza tecnologia. 
  2. La tecnologia non sostituisce i docenti, anzi. Con la nuova didattica i docenti hanno un ruolo ancora più delicato perché devono accompagnare gli studenti in attività in cui loro sono protagonisti attivi. Non è mai banale.
  3. La tecnologia non è quella cosa che usi a distanza quando sei da solo in un luogo lontano da compagni e docente come vuole il vecchio modello e-learning. La tecnologia si usa anche in presenza, semplicemente in modo diverso. Esattamente come nel mondo del lavoro. Sta al docente decidere quando, se e come ha senso usare la tecnologia in presenza.

WeSchool non è solo DaD: la Scuola di carta

WeSchool sviluppa e propone numerosi corsi e progetti formativi per i docenti

A questo proposito abbiamo chiesto a Marco di parlarci di un corso davvero originale, soprattutto per chi si occupa di formazione digitale: la Scuola di Carta.

“Si tratta di una provocazione per raccontare i miti da sfatare sulla scuola. Il gioco, ispirato alla serie La Casa di carta è quello di un dirigente scolastico che, post lockdown, vieta ai docenti di usare la tecnologia. Loro tuttavia, vogliono continuare a fare didattica innovativa. E allora continuano con carta e penna! Così nasce La Scuola di Carta, un corso di formazione per docenti che, per dimostrare quanto la tecnologia sia solo uno strumento, insegna la didattica innovativa rigorosamente senza usare nulla di elettronico. I tre docenti che l’hanno curato, tra cui Marco Torella, sono fantastici. Ci siamo divertiti molto in questo progetto”.

Per concludere l’intervista Marco ci racconta come si immagina la scuola del futuro e i progetti di WeSchool.

“Vorrei una scuola che non avesse paura di cambiare per accompagnare ragazze e ragazzi nelle sfide del nuovo millennio, che cambiasse in base a evidenze scientifiche e pedagogiche e non in base a guerre di religione politiche e sindacali. Sogno una scuola che valorizzi e paghi molto di più i suoi docenti”.
Quanto a WeSchool continuerà ad accompagnare la scuola in questo cambiamento, non soltanto formando i docenti e fornendo la tecnologia, ma sempre di più creando un luogo in cui chi vuole insegnare: autori, docenti, editori, esperti, possa incontrare chi vuole imparare, dall’undicenne al sessantenne che lavora in azienda, in modo partecipativo e coinvolgente”.

Di Chiara De Filippo