Silvio Pierro Microsoft Forms

L’informatica in DaD: un gioco da ragazzi tra gare di battitura e coding

Gli insegnanti di informatica sono davvero avvantaggiati nella DaD? A rispondere in questa intervista l'ingegner Silvio Pierro che ci ha raccontato come è riuscito a coinvolgere i propri alunni con programmi mirati e sfide competitive.

Silvio Pierro è un ingegnere e insegna informatica a ragazzi dai 14 ai 18 anni.
Ama profondamente il proprio lavoro e la materia che insegna, per questo ha inventato modi sempre più innovativi per coinvolgere i propri ragazzi. In quest’intervista ha deciso di raccontare a noi di Idee per la scuola come si è adattato alla DaD e spiegarci quale valore ha aggiunto alle proprie lezioni.
Per chi, poi, volesse seguirlo su YouTube, basta cliccare sul canale Silvio Pierro dove il prof. è molto attivo e dà consigli ai suoi colleghi. Ma intanto vediamo cosa ha raccontato a noi. 

Sei un insegnante di informatica: questo ti avrà sicuramente avvantaggiato rispetto alla DaD, è così?

“Il nostro è sempre stato un istituto fortemente digitalizzato, abbiamo sempre avuto moltissimi strumenti a disposizione. In aula ero solito usare Microsoft Teams per condividere materiali e spesso spiegavo con la LIM mentre i miei alunni seguivano le procedure, ognuno con il proprio pc.
Inoltre, il nostro istituto è sempre stato a favore della digitalizzazione: molti dei libri adottati non sono cartacei e gli studenti possono prendere appunti utilizzando un tablet; la nostra scuola ne incoraggia l’utilizzo mettendoli a disposizione degli alunni che non ne possiedono”.

Raccontaci: cosa è accaduto nel marzo 2020?

“Essendo in Lombardia, il nostro è stato tra i primi istituti a chiudere: la circolare della preside è arrivata nella mattina di lunedì 9 marzo 2020. Quello è stato l’unico giorno di lezione che ho perso perché, il successivo, ho contattato i miei alunni e ho detto loro ‘Collegatevi su Teams!’.
Molti colleghi inizialmente hanno adottato la didattica asincrona, comunicando ad esempio attraverso le e-mail: io non ho mai abbandonato la didattica sincrona e ho aiutato molti colleghi a utilizzare gli strumenti che il mondo dell’informatica ci offre per riuscire a fare lezione”.

Ti sei offerto volontario per aiutare i colleghi?

“Ho aiutato gli insegnanti che hanno avuto difficoltà: ho organizzato delle video-lezioni, una sorta di “tutoraggio” utilizzando la piattaforma della scuola. Per esempio, ho mostrato loro come creare classi virtuali o come inserire la lezione in calendario. Devo dire che ho avuto un’ottima risposta da parte di tutti i colleghi, molti insegnanti hanno fatto grandi passi in avanti”.

Ho aiutato gli insegnanti che hanno avuto difficoltà: ho organizzato delle video-lezioni, una sorta di “tutoraggio” utilizzando la piattaforma della scuola. Per esempio, ho mostrato loro come creare classi virtuali o come inserire la lezione in calendario.

Sicuramente avrai percepito qualche differenza rispetto alle lezioni in aula, o no?

“Bisogna innanzitutto tenere in considerazione che siamo online: la connessione potrebbe essere un ostacolo in più. A una degli insegnanti è capitato che, durante la consegna di una verifica scritta, il programma di uno degli alunno si fosse improvvisamente bloccato: l’insegnante si è trovata in difficoltà perché non sapeva se l’alunno fosse in buona fede o meno. Dopo questo episodio, abbiamo trovato delle soluzioni che permettessero di aggirare questi imprevisti: in questo caso specifico, l’alunno deve provvedere subito a fare degli screenshot e inviarli all’insegnante”.

E a te è mai capitato di trovarti in difficoltà?

“Pur essendo avvantaggiato, anche io ho dovuto cambiare approccio. Molti ragazzi si sentono disincentivati a seguire le lezioni, è necessario capire qual è il modo migliore per approcciare a un determinato argomento. Per classi più movimentate, per esempio, ho trovato più efficace utilizzare il metodo del problem solving oppure fare didattica laboratoriale. Avere questo input a distanza è molto più difficile: bisogna aumentare gli esercizi e aumentare l’interattività. È importante anche non uniformare lo stesso metodo per tutte le età”.

Come ti sei adattato all’età dei ragazzi?

“In prima e in seconda è stato più facile, basta avere degli obiettivi e delle regole chiari. Ho mantenuto l’attenzione alta coinvolgendoli nel programma, dando loro visibilità su quello che avremmo fatto. Ho suddiviso gli argomenti da spiegare durante l’anno e ho creato una scaletta con un ritmo serrato: due settimane per spiegare, poi verifica scritta; una settimana per spiegare, poi verifica scritta. Per comunicare l’esito dei voti ho utilizzato una scheda voti all’interno di Teams: è una tabella molto utile che tiene monitorato l’andamento di ogni alunno.
Ho notato che i ragazzi attendevano con ansia l’esito dei voti: all’inizio correggevo i test mensilmente, poi ho capito che i miei alunni avevano bisogno di feedback veloci e regolari“.

Questo ti ha aiutato a mantenere alta l’attenzione?

“Assolutamente si: è come se li avessi un po’ responsabilizzati!
Un altro esempio: la consegna delle verifiche su Teams si può anche impostare con due diverse scadenze: ‘consegna’ o ‘consegna in ritardo’. Io fissavo una scadenza, non rigidissima, passata la quale si apriva una finestra temporale nella quale si poteva comunque consegnare, ma con la dicitura “consegna in ritardo”: avere due scadenze li ha molto responsabilizzati, quasi tutti sono arrivati a consegnare entro la prima data”.

Che metodi hai adottato invece nelle classi successive?

“In terza e quarta è stato più difficile. I ragazzi sono già più responsabili e vanno coinvolti a livelli differenti.
Preferisco giocare sui tempi, non faccio tanti esercizi e non valuto la costanza e lo svolgimento: utilizzo metodi più classici come interrogazioni e verifiche (test online) per evitare il problema della dispersione”.

Che tipologie di test o verifiche facevi?

“Ho privilegiato test rapidi, in cui non ci fosse bisogno di fare calcoli. Per testare la loro preparazione, e capire se avessero studiato o meno, facevo un questionario con domande a risposta multipla o aperta (massimo 30-40 parole): davo sempre esattamente il tempo necessario per svolgere la prova. Calcolavo il tempo in modo matematico: questo permetteva ai ragazzi di focalizzarsi e concentrarsi al massimo.
Ho trovato molto utile anche organizzare dei lavori di gruppo”.

In quali casi hai privilegiato i lavori di gruppo?

“È un metodo che ho utilizzato molto quando, piuttosto che acquisire conoscenze teoriche, i ragazzi dovevano sviluppare delle abilità. Mi riferisco ad esempio all’utilizzo di software o tool particolari; dopo aver diviso la classe in gruppi, ho assegnato a ogni gruppo un argomento di cui il resto dei gruppi non sapeva nulla.
Ogni gruppo doveva preparare una presentazione e ogni membro doveva parlare per 5 minuti, in modo che tutti fossero coinvolti; la presentazione era un momento dinamico perché anche gli altri alunni potevano intervenire ed esprimere il proprio parere”.

Hai utilizzato Microsoft Forms per sondaggi da condividere con i tuoi allievi, come racconti sul tuo canale YouTube. Ci spiegheresti qual è il valore aggiunto, per i docenti e per i ragazzi, di usare questa tipologia di quiz?

“Uno dei principali difetti della DaD è l’assenza di feedback da parte degli alunni. In classe l’insegnante è in grado di capire molto rapidamente se l’argomento è stato appreso oppure no, a distanza le cose diventano più complicate. Forms mi ha aiutato molto a ricevere delle risposte rapide dagli studenti per capire come continuare le lezioni, grazie a domande veloci e alle risposte raccolte immediatamente da Forms in grafici molto esaustivi”.

Microsoft Forms sondaggi

Come hanno reagito i ragazzi a queste tue proposte?

“Ho notato che è difficile ottenere da loro dei feedback, a volte tendono a essere taciturni. Ho dovuto adottare degli espedienti, aggirare il problema utilizzando i mezzi che avevo a disposizione. Per esempio, tra un argomento e l’altro lasciavo sempre delle lezioni con argomenti più “soft”: li facevo competere tra di loro in alcune gare.
Abbiamo organizzato delle gare di battitura, li ho sfidati a scrivere il più velocemente possibile sulla tastiera, oppure abbiamo organizzato competizioni di coding.
Ho utilizzato Scratch, un ambiente di programmazione gratuito, con un linguaggio di programmazione di tipo grafico: lo scopo della gara era far muovere un gatto e li ho sfidati a chi riusciva a muovere il gatto in maniera più buffa o divertente. Si trattava di conoscere e applicare regole di programmazione, ma di farlo giocando.”

Pierro Silvio - Gara di battitura

Qual è ora la sfida più grande?

“La sfida maggiore ora è la didattica a distanza integrata: la classe è in parte in presenza e in parte a distanza e fare lezione in questa modalità è difficilissimo, significa portare avanti due metodologie diverse. Spesso l’unica soluzione è fare lezione prima a una parte e poi all’altra!”.

Cosa hai imparato da questa esperienza?

“Da buon ingegnere, sono abituato a parlare di numeri e dati: guardo le cose da un aspetto tecnico. Inoltre, ho iniziato la mia carriera all’università facendo il ricercatore.
La didattica in università è un’altra cosa rispetto a quella in una scuola superiore: con il tempo ho imparato a dare sempre più importanza all’aspetto psicologico e ho capito che ottenere il rispetto senza usare la paura è la cosa più difficile da imparare per un insegnante.
La DaD mi ha ricordato ancora una volta perché il rapporto umano con i miei alunni è così importante: si deve trovare il modo giusto per imparare a parlare a distanza con i ragazzi.
Sono stato fortunato perché la mia scuola mi ha consentito di trovarmi nel giusto ambiente: siamo stati supportati”.

Durante la DaD sei riuscito a mantenere i contatti con le famiglie?

“Non abbiamo mai interrotto i rapporti perché organizzavamo colloqui con i genitori su Teams: ognuno di noi aveva un’ora a settimana da dedicare agli incontri con le famiglie, i genitori potevano comodamente prenotarsi con l’insegnante scelto. Sono stati dei colloqui diversi da quelli a cui eravamo abituati: molti erano preoccupati che i ragazzi non socializzassero più, che si “perdessero”; in diversi casi ci hanno chiesto di rimanere vicini ai propri figli“.

Di Marta Massimi