- Scuola: scuola secondaria di secondo grado, I.I.S.S. "PIETRO SETTE", Santeramo in Colle, Bari
- Classe: terza, quarta e quinta liceo
- Materia: italiano
- Metodologia didattica: writing and reading
- Cosa ha fatto il docente: lezione e letture di gruppo all'aperto.
Creare l’occasione per ritrovarsi, confrontarsi e fare lezione insieme è fondamentale per la scuola. Ecco come si può fare, seguendo le regole.
La didattica a distanza mette a dura prova la voglia di stare insieme degli studenti, delle studentesse e degli insegnanti.
Per far fronte a questa mancanza di contatto e andare oltre lo schermo, Giancarlo Visitilli, giornalista per La Repubblica e professore di italiano nel Liceo Pietro Sette di Santeramo in Colle (Bari), ha riportato tutti con i piedi per terra.
Anzi, con il sedere per terra, su un prato. Come? Con la lettura.
Noi di Idee per la scuola lo abbiamo intervistato per capire meglio cos’ha fatto e farci raccontare vantaggi, caratteristiche e limiti della lettura all’aperto “in tempi di Covid”.
Ciao Giancarlo, ci racconti com’è nato il progetto?
“In realtà, non è proprio un progetto, ma un’idea, nata nel marzo scorso, quando è cominciata la diatriba sulla scuola a distanza. È un’attività che continuo a portare avanti, e lo farò fin quando sarà possibile.
Mi spiego: io credo che “didattica” e “distanza” siano un ossimoro perfetto, motivo per cui me ne sono inventate di ogni tipo per poter fare lezione, per rivendicare il mio voler fare scuola, almeno in sicurezza, rispettando le regole.
Ho, quindi, pensato: ‘Quale occasione migliore, visto le caratteristiche delle lezioni in DDI, di vedersi, guardarsi, sentirsi, attraverso un libro, come facevamo in aula una volta a settimana?’.
Solitamente, scegliamo un libro al mese, che poi recensiamo. In questo modo i ragazzi imparano a leggere con senso critico. La scelta dei romanzi è alternata: un mese scelgo io, un mese scelgono loro”.
In questo periodo così difficile, come hai sviluppato l’attività di lettura?
“Sappiamo che è importante che le regole ci siano, ma anche che abbiano un senso, un significato, che vengano spiegate.
Quando ci siamo ritrovati chiusi da un giorno all’altro, mi sono inventato una serie di appuntamenti per la lettura all’aperto con i ragazzi, soprattutto perché, con molta onestà, noi qui abbiamo ancora un sole pazzesco”.

Be', quella del clima è davvero una fortuna per voi che altri non hanno...
“Sì, credo che questa sia l’occasione per fare scuola diversamente.
Sono convinto che fare scuola sia anche insegnare loro come sfruttare l’opportunità di stare insieme ma seguendo le regole, con le mascherine e la distanza, in un prato, leggendo o “cazzeggiando”, parlando di quello che ci sta accadendo.
Mai come oggi abbiamo un’occasione importante: non sciupare e non far sprecare il tempo dei bambini, delle bambine e degli adolescenti”.
Come è stata accolta questa tua attività?
“Ho scritto un post su Facebook in cui raccontavo questa esperienza. Il post è diventato virale. Siamo stati intervistati sia dalla Rai ai “Fatti vostri”, che da SkyTg24, perché è come se in questo Paese facesse notizia qualcosa di normale: chissà quanti miei colleghi usano la creatività per fare scuola.
I colleghi giornalisti, invece, hanno fatto diventare notizia quello che notizia non è: le attività creative e la lettura a scuola.
Ecco perché questo che stiamo vivendo è un momento importante: dobbiamo prendere il presente come espediente non solo per occuparci di scuola, ma anche di preoccuparci di scuola“.
In che senso, “preoccuparci” di scuola?
“La scuola non è solo della madre e del papà che non sanno a chi lasciare il proprio figlio, la scuola è di tutti. È qualcosa intorno al quale si costruisce, è l’ingranaggio principale di un sistema. È il perno principale di qualsiasi società civile”.
Come hanno reagito i genitori dei tuoi studenti?
“Come ho raccontato su Facebook, il messaggio e la notizia che volevo dare sono, in realtà, altri rispetto all’attività di lettura.
È successo, infatti, che una mamma si sia rifiutata di mandare suo figlio a scuola quella mattina sul prato, perché diceva che io educavo suo figlio a fare disobbedienza. E, in fondo, io sì, insegno a fare disobbedienza attraverso la letteratura, la storia, la poesia.
Per me è quella la scuola: è la disobbedienza civile, pacifica, che fa dire ai ragazzi la loro. Io intendo la scuola come qualcosa che ha a che fare con la pelle, le ossa, il sangue, qualcosa che è vivo”.
E, invece, i tuoi colleghi come hanno vissuto la tua idea e la situazione in generale?
“Io ritengo che i social siano un posto fondamentale per dirsi le cose che possono servire a crescere, comprese le cose che riguardano la scuola. Lì racconto le cose belle che si stanno facendo per la scuola, fatte in modo diverso. E come me, ci sono tanti colleghi che lo stanno facendo: a molti ha fatto piacere l’idea di poter condividere un’esperienza tale”.
Hai avuto dei commenti o dei feedback da parte degli alunni?
“Hanno subito aderito: per loro la scuola è quella che si fa così, letteralmente guardandosi, toccandosi, molto più di noi. Hanno l’esigenza di rapportarsi.
La scuola ha a che fare con il tatto, con il toccarsi. I miei studenti non hanno avuto nessuna diffidenza. Ma credo che nessuno abbia diffidenza a tornare a scuola. Già ad aprile loro sentivano il desiderio di tornare a fare lezioni in presenza. E non solo per fare le lezioni, ma anche per il contatto visivo, l’annusarsi, gli odori e il puzzo e tutto ciò che si ama. E in genere ci sia ama con gli organi di senso. La scuola è questo”.
Che cosa senti di aver imparato da questa esperienza?
“Non è retorico, ma io ci credo quando dico che facciamo il mestiere più malfamato in questo Paese, perché anche se veniamo pagati poco, è davvero l’esperienza più bella del mondo. Questo è un mestiere che ti inventi ogni giorno, dove impari ad imparare ogni giorno ed è così per forza.
Io ho appena finito di preparare le lezioni di domani, ma so già che mentre starò con loro, la lezione sarà diversa da come l’ho pensata, perché con gli studenti tutto cambia. È come se tu avessi degli ingredienti in frigo, li metti in pentola e quelli diventano altro, un’altra essenza.
Quando dico che considero la scuola una cosa molto viva, è perché domani so che potrebbe succedere che magari mi commuoverò, come è successo oggi, che mi sono ritrovato in lacrime in video mentre parlavo di “E ti vengo a cercare” di Battiato, nonostante la videolezione sia uno strumento così sterile.
Per questo dico che ogni giorno impari ad imparare, dagli studenti e con loro.
La scuola non la facciamo noi a loro, la facciamo entrambi: loro a noi e noi a loro. Ce ne andiamo sempre stracarichi di compiti a casa”.
Autore: Marcella Peverini
Articoli correlati:
- Il blog come strumento didattico: il progetto “I Maturandi” Scuola: scuola secondaria di secondo grado, Liceo delle Scienze Umane Rocco Scotellaro, Sangiorgio a...
- Peer learning, videogame e risorse educative aperte: i progetti della DaD Scuola: European High School, scuola superiore di secondo grado. Classe: 1°, 2°, 3°, 4°,...
- Un viaggio interattivo e una rivista per conoscere la cultura cinese in DaD Scuola: scuola secondaria di secondo grado, Istituto d’Istruzione Superiore Vespucci, indirizzo Relazioni Internazionali per...