marco stancati sapienza

L’università ai tempi della pandemia e la cura dei Cenacoli del sabato

Come salvaguardare l'apprendimento e la salute mentale degli studenti universitari

Dall’inizio della pandemia, la categoria che sembrava essere dimenticata dai numerosi Dpcm sembrava proprio quella dei docenti e degli studenti universitari. Abbiamo osservato a lungo i tentativi delle università di mantenere una didattica efficace e quando abbiamo letto l’articolo sulla DaD che non è un accidente del professor Marco Stancati, della Sapienza di Roma, abbiamo capito che era proprio lui il docente che stavamo cercando.
Con l’aplomb da luminare e un umorismo sagace, la conversazione con il professore ci ha trasportato in un’università che si prende cura dei suoi studenti e che non ha paura di mettersi in gioco

Marco, ci racconti come la Sapienza ha affrontato la pandemia dallo scorso anno?

“Quando abbiamo dovuto affrontare la pandemia nel marzo 2020, ci siamo ritrovati a superare le problematiche della didattica dal giorno alla notte. Ricordo ancora il giorno, il 4 marzo se non sbaglio, quando, durante la lezione, è arrivata la notizia che dal giorno dopo avremmo dovuto fare lezione a distanza. Abbiamo sfruttato le conoscenze di ciò che avevamo fatto fino a quel momento, perché eravamo già soliti comunicare con gli studenti tramite Meet e piattaforme simili”.

Queste piattaforme hanno retto il carico di lavoro così immediato?

“Assolutamente, tutta l’università si è adattata in tempi rapidissimi, dandoci la possibilità di avere classi molto ampie sulle piattaforme che hanno sostenuto la qualità audio e video delle lezioni. Questo ci ha aiutato a sostenere anche 4 ore di lezione per un solo corso senza affaticare troppo gli studenti. Noi docenti ci siamo confrontati con un carico di energia decisamente più denso, poiché l’energia che metti durante la lezione non può tornarti indietro con la stessa forza di rimbalzo dell’aula fisica. Il digitale, inoltre, ti porta a scandire maggiormente la voce, cercando di tenere un’attenzione molto alta sia per te stesso, sia per quella degli studenti”.

Come avete gestito il contatto con gli studenti?

“Dopo circa 3 settimane di pandemia, ci siamo resi conto che c’era la necessità di ripristinare una socialità, data la didattica troppo meccanica e asettica, e cercare di riempire il vuoto lasciato dalla vita universitaria composta dai piccoli momenti che giovano all’apprendimento degli studenti. Ogni anno sono solito assegnare ai miei studenti la realizzazione di un video in cui, per esempio, devono esercitare le loro qualità di comunicatori per arrivare a un obiettivo, come realizzare un’intervista in cui spiegano perché potrebbero essere i candidati perfetti per un lavoro sul mercato”.

Hai proposto la stessa dinamica per questa esercitazione?

“In realtà no: dato che percepivo l’esigenza di elaborare ciò che stava accadendo sia agli studenti che ai docenti, ho richiesto la realizzazione di un video in cui parlassero proprio di come stessero vivendo la situazione pandemica in pochi minuti.  L’obiettivo era duplice: elaborare il lutto di quella che era la nostra normalità e sperimentare la difficoltà della comunicazione

Nel tuo articolo racconti dell'iniziativa del Cenacolo, di che cosa si tratta?

“Questa idea è nata a causa di un consenso negativo degli studenti nel mese di settembre: nonostante l’iniziale tempestività dell’università, gli studenti hanno percepito una qualità didattica inferiore rispetto al periodo precedente, causata dalle problematiche della didattica digitale integrata soprattutto per gli studenti fuori sede. Ho scoperto questo malcontento generale quando ho iniziato a intervistare gli studenti a metà gennaio: il sabato solitamente ci dedicavamo a incontri extra scolastici e facoltativi con artisti e luminari, ma nel secondo periodo ho istituito questi Cenacoli. Erano veri e propri incontri, richiesti dagli studenti, con un massimo di 14 persone tra i nostri studenti, quelli di altre facoltà e addirittura ex studenti”.

Che cosa hai scoperto tramite questi incontri a tu per tu?

“In una di queste riunioni gli studenti mi hanno comunicato quella che per loro era l’inutilità dei tantissimi sondaggi dell’università che non rappresentavano la reale situazione percepita dagli studenti. Mi hanno reso partecipe di tutte le carenze che percepivano e alla fine ho realizzato ben 115 interviste attraverso un sondaggio a risposta aperta sulla loro esperienza universitaria di quel periodo. È stato un lavoro denso ma fondamentale, perché dà la possibilità di sviluppare la tua sensibilità. Alcuni ragazzi non parlavano di alcuni aspetti e io non ho voluto indagare ulteriormente, perché volevo che si sentissero liberi di parlare senza costrizioni, in modo spontaneo“.

Hai notato un netto cambiamento nella loro performance durante questo periodo di pandemia?

“Sì, era inevitabile, poiché ciò che manca veramente è la vita universitaria, un contesto che incide moltissimo sull’apprendimento, con gli appunti ‘che sanno di pizza’, e soprattutto la mancanza dell’emancipazione dalla famiglia e di tutto l’apparato di indipendenza e consapevolezza degli studenti. I risultati migliori li abbiamo visti nel primo periodo, mentre nel secondo la didattica integrata, purtroppo, non è risultata efficace. L’ostacolo più grande erano le classi molto ampie perché avremmo dovuto avere a disposizione una regia che ti desse la possibilità di concentrarti esclusivamente sul contenuto e sulla comunicazione con gli studenti”.

Qual è il tuo rapporto con il digitale applicato alla didattica?

“Penso davvero che questa esperienza non vada sottovalutata e buttata via e io stesso non rinuncerò ai cenacoli e ai vari incontri perché credo che il digitale sia una leva dinamica e potente da sfruttare. Se non ci fosse stata la DaD i processi formativi si sarebbero davvero arrestati e avremmo dovuto utilizzare metodi arretrati. Un altro aspetto è che mai come quest’anno abbiamo avuto un panorama misto e diversificato tra gli studenti: nel mio corso gli studenti provengono da 22 università diverse e questa è una situazione che. in quanto docente, devi studiare a fondo per poter dare omogeneità alle conoscenze”.

Che cosa ti ha permesso di facilitare la DaD riguardo questo aspetto?

“La DaD è stata una grande risorsa perché mi ha dato la possibilità di fare degli incontri individuali con gli studenti che avevano bisogno di implementare le conoscenze senza le quali si ritrovavano in difficoltà. Portare a termine questo lavoro in presenza sarebbe complesso a causa dei ritmi universitari, quindi siamo riusciti ad ovviare ad esigenze fondamentali. Chiaramente è un lavoro che va integrato, non può essere sostituito a quella crescita didattica tradizionale che rimane il cardine per una crescita individuale“.

Anche i docenti universitari si sono adattati bene alla DaD?

“Complessivamente sì: alla Sapienza noi docenti con più familiarità con il digitale abbiamo fatto da punto di riferimento per docenti di altre facoltà che si ritrovavano ad avere qualche difficoltà. Loro hanno implementato queste conoscenze in modo veloce e dinamico, applicandosi totalmente, sviluppando curiosità in più e attuando cambiamenti positivi. Chiaramente il carico lavorativo è aumentato notevolmente, soprattutto per la progettazione e il rigore che devi mantenere durante le lezioni”.

Che ne pensi della questione “salute mentale” degli studenti universitari?

“Lo scorso anno ho messo a disposizione degli studenti alcune interviste con antropologi e psicoanalisti con cui ho affrontato il problema del distanziamento fisico. Ricordiamoci che il fattore della fascia d’età degli studenti è fondamentale: avendo un’età in cui la fisicità nella relazione è un valore imprescindibile, con la protrazione nel tempo questo aspetto va a influire sul nostro corpo e sulla nostra mente. Questo periodo per l’umanità ha significato una sospensione della propria gestualità affettiva che, inevitabilmente, va a incidere sul carico nervoso e sulla tensione fisica e mentale dei ragazzi”.

Quali pensi che siano gli aspetti più complessi da gestire?

“Spesso pensiamo che la DaD sia l’unico cambiamento causatoci dalla pandemia, ma questo è solo uno degli aspetti: gli studenti hanno visto cambiare la qualità di vita della propria famiglia e della propria socialità, portando a una situazione più che spiazzante. Anche l’aspetto della coabitazione forzata è un elemento che influenza l’approccio alla didattica, soprattutto se, come abbiamo visto, si protrae nel tempo”.

La didattica a distanza non può essere vista come scorporata da tutti gli aspetti della pandemia.

“Quelle interviste mi hanno dato modo di tastare con mano lo spaccato di vita degli studenti e di avere la consapevolezza di ciò che c’è oltre a ciò che vediamo attraverso uno schermo.”

Nel tuo articolo mostri delle foto tratte da un webinar un po' particolare, come si è svolto?

“Il webinar mi è stato richiesto due ex studenti di economia napoletani, che avevano bisogno di alcuni consigli per prepararsi ad alcuni colloqui lavorativi. È stata un’esperienza atipica perché non ho avuto, nemmeno per un secondo, la sensazione che fossimo a distanza: c’era un’interazione costante e completa, con un pensiero laterale spontaneo che fa proprio parte della loro natura. Successivamente i ragazzi hanno estrapolato dei singoli momenti durante la registrazione e hanno aggiunto dei fumetti con delle frasi che ho detto o dei pensieri che hanno attribuito a me e, devo dire, azzeccandoci in pieno”.

Marco Stancati Webinar
Marco Stancati Webinar

Che cosa è diventata, secondo te, la nostra normalità?

“Credo che la vera rivoluzione non parta da gesti troppo grandi ma dalla quotidianità. I tempi sono dinamici e dobbiamo continuare ad aggiornarci sia nei contenuti che nell’approccio. Dobbiamo abituarci all‘idea che tutto cambia e che non puoi mai pensare di adagiarti su un traguardo che si sposta sempre avanti, e la didattica ne è un esempio. Noi docenti abbiamo il compito di stimolare gli studenti in modo reattivo, senza farli cadere nella passività, attivando un’interazione in modo tale da far entrare lo studente dentro al concetto che sta affrontando, senza affidarsi esclusivamente al lato mnemonico dell’apprendimento”.

Che cosa senti di aver imparato in questo anno?

“Sicuramente mi si sono aperte nuove strade di integrazione della didattica, come anche la consapevolezza verso una nuova normalità dal punto di vista ambientale. Nella mia quotidianità, infatti, ho iniziato a trovare delle soluzioni alternative per ovviare ai problemi ambientali che oramai sono evidenti. Prima della pandemia, la Sapienza ha attuato il progetto di rifornimento di borracce a tutti gli studenti e questa è stata una soluzione semplice ma efficace, dato che ogni giorno venivano consumate dalle 5000 alle 7000 bottigliette. Questa è la sostenibilità: partire dai piccoli gesti di ogni individuo, dall’acqua consumata quando ti lavi i denti alle sigarette gettate per terra”.

Di Greta Arilli